Corso di storia della scienza: Schrödinger 1887
Erwin Schrödinger 1887

Erwin Schrödinger – L’uomo che fece cantare la materia
12 agosto 1887, Vienna. In una città che brulica di musica, caffè e scienza, nasce Erwin Schrödinger. Figlio unico, educato in casa tra esperimenti, letture e lunghe passeggiate con il padre, cresce in quell’Europa che sta per scoprire l’invisibile: i quanti, gli atomi, il nucleo. A Vienna studia fisica con Franz Exner e Friedrich Hasenöhrl; nel 1910 consegue il dottorato. La Prima guerra mondiale lo arruola come ufficiale d’artiglieria: esperienza dura, ma anche laboratorio mentale dove l’ordine matematico e il caso si sfiorano di continuo.
Negli anni successivi insegna a Jena, Stoccarda, Breslavia e, soprattutto, Zurigo (1921–1927). È qui che il giovane professore, ispirato dall’idea delle onde di materia di de Broglie, trova la sua voce.
L’equazione che cambiò la fisica
Tra il 1925 e il 1926 Schrödinger mette per iscritto ciò che tanti sospettavano: la materia ha un doppio volto, corpuscolare e ondulatorio. Nasce così l’equazione di Schrödinger, un’equazione d’onda che descrive come evolve nel tempo lo stato quantistico di una particella.
Se i simboli spaventano, pensiamola così: l’equazione è come uno spartito musicale per l’atomo. Lo spartito non è la musica, ma dice alla musica come deve suonare nel tempo; allo stesso modo, l’equazione indica come la funzione d’onda (ψ) — la “melodia” della particella — cambia e si propaga. Dallo spartito emergono frequenze (energie), armoniche (stati consentiti), e pause (stati proibiti). Con quello spartito Schrödinger risolve il caso dell’idrogeno, spiegando livelli energetici e spettri: all’improvviso i colori delle righe spettrali non sono più un enigma, ma la firma musicale degli elettroni.
Schrödinger dimostra anche che la sua meccanica ondulatoria è equivalente a quella matriciale di Heisenberg: due linguaggi, la stessa fisica. Non amava però l’idea — introdotta da Born — che |ψ|² fosse una probabilità: preferiva pensare l’elettrone come un’onda reale, continua. La storia, con esperimenti e interpretazioni, darà ragione alla lettura probabilistica; lui rimarrà scettico ma affascinato: «La scienza, in fondo, è una continua correzione di se stessa», ripeteva nelle sue lezioni.
“Si possono costruire casi del tutto grotteschi”
Nel 1935, per mostrare quanto paradossale potesse apparire l’interpretazione dominante (la cosiddetta “copenaghese”), Schrödinger immagina l’ormai celeberrimo gatto chiuso in una scatola, con un meccanismo legato al decadimento di un atomo. Finché nessuno guarda, il sistema è in sovrapposizione: il gatto è vivo e morto insieme. Il suo scopo non è scherzare, ma smascherare l’attrito tra la matematica quantistica e il nostro senso comune:
«Si possono costruire casi del tutto grotteschi.»
(“Die gegenwärtige Situation in der Quantenmechanik”, 1935)
Quel paradosso è diventato il più famoso esperimento mentale della scienza moderna: non risolve il mistero, ma lo illumina.
Premi, cattedre, esilio
Nel 1933 riceve il Premio Nobel per la Fisica (con Paul Dirac) “per la scoperta di nuove forme produttive della teoria atomica”. In quel periodo succede a Planck alla cattedra di Berlino, ma l’ombra del nazismo lo spinge a partire: Oxford, poi Princeton, quindi Graz e, dopo l’Anschluss, l’esilio definitivo a Dublino (Institute for Advanced Studies, 1940–1956). Tornerà infine a Vienna, dove morirà il 4 gennaio 1961.
Ha insegnato anche a Zurigo, Vienna e alla Princeton University; le sue lezioni erano celebri per chiarezza e immagini mentali. Molti ricordano la calma con cui cominciava dalla fisica classica per mostrare dove si spezza e perché serve una nuova grammatica del mondo.
Dalla fisica alla vita: il “cristallo aperiodico”
Schrödinger non fu solo il poeta della meccanica quantistica. Nel 1944 pubblica “What Is Life?”, un piccolo libro che ha un effetto enorme sulla biologia del dopoguerra. Introduce l’idea che l’informazione ereditaria sia contenuta in un «cristallo aperiodico», un solido capace di immagazzinare codice senza ripetersi come un cristallo ordinario. È un’intuizione che ispirerà Watson, Crick e la scoperta della doppia elica.
«La materia vivente, pur non eludendo le leggi della fisica, sembra impiegare principi inusitati.»
(parafrasi da “What Is Life?”, 1944)
Con “Mind and Matter” (1958) e “My View of the World” esplora anche i confini tra fisica, mente e filosofia, influenzato dal pensiero vedantico:
«La coscienza non si esperisce mai al plurale, solo al singolare.»
(“Mind and Matter”, 1958)
È una tesi audace: per Schrödinger, alla radice delle esperienze individuali c’è una unità di coscienza.
Perché la sua equazione conta, ancora oggi
- Atomi e molecole. L’equazione spiega gli orbitali elettronici e fonda la chimica quantistica: reattività, legami, forme molecolari.
- Solidi e semiconduttori. Bande di energia, transistor, laser: molta tecnologia moderna nasce dai suoi calcoli.
- Nanoscienza. Dalla spettroscopia ai punti quantici, è ancora la guida.
- Metodi numerici. Dalla DFT (teoria del funzionale di densità) ai calcoli ab initio, l’idea di partenza rimane la sua: descrivere il mondo come onde che interferiscono.
Un ritratto umano
Elegante, ironico, schivo ma non austero, Schrödinger amava i gatti veri, la montagna e le conversazioni lunghe. Era capace di entusiasmo infantile davanti a un’idea e di dubbio adulto davanti a un consenso affrettato. Della meccanica quantistica diceva che era “completa e incompleta”: completa nella sua potenza predittiva, incompleta nella storia che racconta sul reale.
Date e luoghi essenziali
- Nascita: 12 agosto 1887, Vienna (Austria)
- Formazione: Università di Vienna (dottorato 1910)
- Cattedre: Zurigo, Berlino, Oxford, Princeton, Graz, Dublino (DIAS), Vienna
- Nobel: 1933 (con Paul Dirac)
- Morte: 4 gennaio 1961, Vienna
Tre idee-chiave da ricordare
- La funzione d’onda (ψ) non è una pallina che si muove, ma un’onda di possibilità che evolve nel tempo.
- Sovrapposizione e misura: prima della misura coesistono possibilità; la misura seleziona un esito.
- Paradossi come guida: dal gatto all’entanglement (termine coniato proprio da lui, Verschränkung), i paradossi non sono giochi: puntano il dito sui buchi concettuali.
Due citazioni per salutarlo
«Si possono costruire casi del tutto grotteschi.»
(Schrödinger, 1935 – il gatto e i paradossi della misura)
«La coscienza non si esperisce mai al plurale, solo al singolare.»
(Schrödinger, 1958 – “Mind and Matter”)
Schrödinger ha dato alla fisica un linguaggio nuovo per descrivere l’invisibile, e alla cultura un invito a pensare l’impensabile. Se oggi accendiamo un laser, progettiamo un chip o interpretiamo uno spettro stellare, stiamo ancora leggendo — e suonando — lo spartito che lui ha scritto.
Commenti
Posta un commento